giovedì 8 marzo 2012

LEGA LADRONA


scandaloboni

di Matteo Prencipe


Con l'avviso di garanzia per corruzione a Davide Boni, "pezzo forte" della Lega, è iniziato il vero conto alla rovescia del potere di Formigoni e forse della stessa Lega in Lombardia. Si svela finalmente quello che da sempre la sinistra ha denunciato.

La Lega di governo è fatta degli stessi "favori", concessioni, aiuti palesi ed occulti, che garantisce da venti anni il ruolo egemone di Berlusconi e Formigoni. L'avviso di garanzia colpisce al cuore la finzione di Lega del "buon governo locale". Una finzione sino ad ora in attaccata e si incomincia ad intravvedere in Lombardia, l'inizio della fine di un'epoca e con essa la capacità della Lega di rappresentare un'alternativa. Stiamo assistendo ad un primo terremoto politico al nord, che mette in discussione la Lega "diversa", estranea dai maneggi e agli affari, ed emerge fulmineamente come essa stessa sia frutto del sistema di sottogoverno, che garantisce in cambio di concessioni facili, finanziamenti senza rete alla politica della destra.

Il governo di Formigoni perde quindi l'ultimo elemento di legittimità politica: il mitico destino del "nord diverso e federalista, della Lombardia onesta ed efficiente, contrapposta alla Roma incapace. Viene meno un pezzo strategicamente importante della narrazione formigoniana, di cielle e della Compagnia delle Opere. Questa destra è ormai incapace di esprimere un governo, che non sia basato sulla condiscendenza al sistema della corruzione fatto di consulenze e appalti locali. Non é un caso che nell'epoca delle vacche magre, degli scarsi finanziamenti pubblici, del poco denaro privato circolante, sia iniziata la decadenza della destra lombarda. E' il sistema di corruttela, consentito anche dal tanto denaro facile e disponibile degli ultimi anni, che sta collassando e con esso anche la fantasiosa "verginità politica" della Lega. Attraverso le centinaia di comuni governati direttamente, la Lega ha acconsentito al saccheggio del territorio, avvallato miliardarie opere infrastrutturali, già oggetto di indagini e arresti da parte della magistratura e ora i "nodi vengono al pettine". Non possono più dire: non c'ero e se c'ero dormivo. Ora la sinistra e il centro sinistra, come le scorse elezioni milanesi hanno indicato, hanno la straordinaria possibilità di costruire un'alternativa. Si può e si deve riconsegnare la Lombardia ai cittadini e costruire un nuovo futuro.

giovedì 22 settembre 2011

I boss "proprietari" di Rosarno e dintorni condannatti a maxirisarcimento

Il crimine non paga. O meglio, è costretto a pagare. È un risarcimento record quello che il Gup di Reggio Calabria, Roberto Carelli Palombi, ha imposto al clan Pesce, da decenni padrone di Rosarno e del suo comprensorio. Per il danno provocato con la propria attività criminale, i boss dovranno versare 50 milioni di euro al Comune e 10 milioni di euro ciascuno a Regione Calabria e Ministero dell’Interno. Denaro che potrà trasformarsi in scuole, servizi sociali, case popolari, strade. Denaro che tornerà in mano a quella stessa popolazione per decenni schiacciata dallo strapotere mafioso dei Pesce. Del resto, si tratta di un patrimonio che i boss in anni e anni di attività criminale hanno accumulato proprio alle spalle della comunità. Aziende, immobili e società – incluse due squadre di calcio dilettantistico, la As Rosarno e la As Dilettantistica Cittanova Interpiana Calcio – che la magistratura ha sequestrato e adesso potrebbero tradursi in confische definitive, necessarie per monetizzare il milionario risarcimento che la ndrangheta deve ai cittadini di Rosarno. Un paese che la cosca ha sempre considerato “cosa propria”, come ha avuto modo di lasciar intendere il boss già detenuto Rocco Pesce, in una minacciosa missiva recapitata alla fine di agosto al sindaco del paese, Elisabetta Tripodi. Mai, l’amministrazione guidata dalla giovane prima cittadina avrebbe dovuto costituirsi parte civile nel processo contro la famiglia Pesce, perché – scriveva il boss - “ritengo di non aver recato alcun disturbo al quotidiano cittadino e tanto meno inquinato l’aria che respirate”. Ma quel disturbo per i magistrati c’è stato. E vale cinquanta milioni di euro.
È una mazzata durissima per la cosca, che viene colpita non solo sul fronte patrimoniale, ma anche decapitata nella sua struttura di comando. Tanto il capo riconosciuto, Vincenzo Pesce, come il nipote Francesco, considerato il reggente del clan dopo l’arresto del padre Nino e dello zio Rocco, dovranno scontare vent’anni di carcere. Dieci anni dietro le sbarre dovrà passare anche Domenico Arena, cognato e sodale di Vincenzo Pesce. Decisiva per inchiodare i tre, la testimonianza di Giuseppina Pesce, parente dei tre condannati. Nel comminare la pena, il giudice Carelli Palombi ha tenuto conto dei verbali di interrogatorio nei quali la collaboratrice ha descritto minuziosamente ruolo e caratura del cugino Francesco, dello zio Vincenzo e di quel Domenico Arena, che proprio lei, con le sue dichiarazioni, ha fatto arrestare. Ma la testimonianza di Giuseppina -che alcuni mesi fa ha iniziato spontaneamente a collaborare, per poi tirarsi indietro su pressione della famiglia e solo di recente ha ricominciato a parlare con i magistrati di Reggio Calabria – è stata fondamentale anche per far cadere la rete di prestanome che per decenni hanno fatto da scudo alla famiglia Pesce. Parole che Francesco Pesce, conosciuto come Ciccio “Testuni”, ha definito millanterie, chiacchiere in libertà. Ma che la Procura ha preso decisamente sul serio.
Come altrettanto sul serio, i giudici hanno preso le parole di un altro pentito, Consolato Villani, che ieri ha testimoniato nel corso di un altro processo in corso al tribunale di Reggio Calabria. Villani non è un uomo qualunque. Ha alle spalle condanne pesanti , trent’anni di reclusione per l’omicidio dei due carabinieri Fava e Garofalo, assassinati in un agguato nei primi anni ’90, e parentele altrettanto pesanti, quel clan Lo Giudice che si sospetta responsabile della stagione delle bombe l’anno scorso a Reggio Calabria. In aula è stato chiamato a chiarire la posizione e caratura del boss Carmelo Murina, con il quale era in rapporti.. Ma al di là delle dichiarazioni che hanno inchiodato Murina, ritenuto il capo della zona di Santa Caterina, periferia nord di Reggio Calabria, la testimonianza di Villani si è trasformata in un atto d’accusa nei confronti di tutta la ndrangheta: ““Ho reso dichiarazioni contro il mio stesso sangue ed è una cosa che non auguro a nessuno. Ma sono fiero di quello che ho fatto. Chiedo perdono alle famiglie dei due carabinieri e chiedo a tutti gli uomini della criminalità organizzata di collaborare. Non siamo uomini, siamo bestie, ma insieme possiamo sconfiggere la ‘ndrangheta”.

Alessia Candito

INVECE CHE IL PONTE SULLO STRETTO FINANZIAMO SCUOLA E ISTRUZIONE

di Vito Meloni, Responsabile Nazionale Scuola PRC

54 % in Calabria, 42 % nel Lazio, 36 % nel prosperoso veneto. Sono i numeri degli edifici scolastici “a rischio” secondo le stesse valutazioni del Governo, confermate dall'indagine di Cittadinanza Attiva. Numeri impressionanti che ci dicono come ogni giorno centinaia di migliaia di studenti e docenti sono costretti a frequentare ambienti scolastici che li espongono a pericoli gravi se non, come è già accaduto, addirittura a perdere la vita. Aule fatiscenti, impianti fuori norma, mancanza delle più elementari misure di sicurezza, condizioni igieniche impossibili, barriere architettoniche: sono solo alcuni dei problemi delle scuole, buoni per qualche pagina di giornale ad ogni inizio d'anno scolastico ma destinati a cadere rapidamente nel dimenticatoio, a meno che la dura realtà di qualche disastro non si incarichi di riportarli agli onori della cronaca. Situazioni che indicano in modo chiaro quali dovrebbero essere le priorità nell'uso delle risorse pubbliche.
Tutto il contrario di quello che invece sta facendo il governo. Come possono gli Enti Locali, provvedere alla manutenzione degli edifici con i bilanci ridotti al lumicino dai continui tagli delle manovre? E come si garantisce la sicurezza nelle aule se l'obiettivo della Gelmini è quello di avere aule sempre più affollate? Ad aumentare i rischi in caso di incidente non ci sono solo le “classi pollaio”, molto più diffuse di quanto la ministra non sia disposta ad ammettere, ma anche le troppe situazioni in cui non sono rispettati gli indici di affollamento, quelli, per intenderci, che definiscono quanti alunni possono stare in una determinata aula. Viene in mente la polemica di queste ore da parte di esponenti del PD nei confronti di chi ha difeso le ragioni di quanti contestano l'immenso e dannoso spreco della TAV. Strano Paese il nostro, dove si buttano dalla finestra enormi risorse per opere inutili - come la TAV, appunto, o il ponte sullo stretto – e non si fa nulla per rendere più sicuri e vivibili i luoghi deputati alla formazione dei propri cittadini! Del resto, se si spulcia negli atti parlamentari si può perfino scoprire che nel 2010, con accordo bipartisan, sono stati distribuiti finanziamenti per l'edilizia scolastica anche a scuole private, tra le quali spiccano alcuni degli istituti più costosi ed esclusivi d'Italia. E intanto nelle scuole pubbliche manca ormai anche la carta igienica! Restituire alla scuola pubblica il ruolo che le compete in una società democratica, garantire il diritto allo studio di tutti i cittadini, investendo sull'istruzione le risorse che, invece, vengono destinate alle opere inutili, alla guerra, al finanziamento incostituzionale delle scuole private. Sarebbe un programma semplice e chiaro che tutti capirebbero ma che, temo, difficilmente sarebbe fatto proprio dal rinato Ulivo. Una ragione in più per costruire una reale alternativa di sinistra a questa barbarie.